Dal 1900 ad oggi il 75% della biodiversità
delle piante coltivate nel mondo si è persa a causa dell’abbandono dell’agricoltura contadina a
favore di quella industriale che ha selezionato solo le specie per colture
intensive. L’inquinamento del suolo, la penuria di acqua, la
sterilità dei terreni e i mutamenti climatici stanno imponendo la ricerca di
varietà nuove che sappiano adattarsi ad ambienti colturali diventati più
difficili. Già oggi poche multinazionali hanno in mano l’80% dei semi che
rivendono con ampi profitti ai coltivatori. L’alimentazione del 90% della
popolazione mondiale dipende da poche specie di riso, grano e granturco.
Una crisi dovuta a carestia o ad una combinazione di malattie delle piante e saremmo tutti alla fame. È in atto una privatizzazione delle fonti della nostra esistenza, nonostante la Convezione di Rio del 1992 e le direttive della Ue. La Sardegna è una delle regioni d’Europa più ricche di varietà, ma non siamo capaci di riconoscere e valorizzare la grande ricchezza che abbiamo sotto gli occhi e sotto i nostri piedi. Il non vedere le cose nostre, il nostro paesaggio, la nostra cultura e la nostra lingua è purtroppo una costante del nostro agire. In Sardegna non c’è nulla, siamo soliti dire. Un continuo disconoscimento di tutto quello che è Sardegna, che si traduce nella costante negazione di noi stessi e della nostra identità di sardi.
Una crisi dovuta a carestia o ad una combinazione di malattie delle piante e saremmo tutti alla fame. È in atto una privatizzazione delle fonti della nostra esistenza, nonostante la Convezione di Rio del 1992 e le direttive della Ue. La Sardegna è una delle regioni d’Europa più ricche di varietà, ma non siamo capaci di riconoscere e valorizzare la grande ricchezza che abbiamo sotto gli occhi e sotto i nostri piedi. Il non vedere le cose nostre, il nostro paesaggio, la nostra cultura e la nostra lingua è purtroppo una costante del nostro agire. In Sardegna non c’è nulla, siamo soliti dire. Un continuo disconoscimento di tutto quello che è Sardegna, che si traduce nella costante negazione di noi stessi e della nostra identità di sardi.
Quando lo sguardo straniero dà loro valore,
restiamo sorpresi. Abbiamo bisogno di conferme e le accettiamo solo da chi
viene dall’altra parte del mare. Per il suo essere istrangiu,
l’ospite o il visitatore assumono caratteristiche superiori. Loro sanno, mentre
noi no e dal loro giudizio dipendiamo. Possiamo continuare così? Certo che no.
Altre regioni italiane con maggior consapevolezza di sé, hanno agito
differentemente. Hanno promulgato leggi severe, le comunità locali sono state
dichiarate le proprietarie della biodiversità che in questo modo diventa
patrimonio collettivo indisponibile. Sono stati istituiti gli agricoltori
custodi che possono scambiarsi legalmente semi e piante antiche. I giardini dei
frutti dimenticati si diffondono nelle città in modo che si accresca la
conoscenza di un patrimonio collettivo, vengano sensibilizzate le nuove
generazioni.
Salvare la biodiversità è investire sul nostro futuro, creare appartenenza e identità. Noi invece siamo luogo aperto a chiunque voglia impadronirsene e magari rivenderci i derivati a caro prezzo. (Tratto da L’ultimo furto dei nostri beni comuni di Nicolò Migheli)
Salvare la biodiversità è investire sul nostro futuro, creare appartenenza e identità. Noi invece siamo luogo aperto a chiunque voglia impadronirsene e magari rivenderci i derivati a caro prezzo. (Tratto da L’ultimo furto dei nostri beni comuni di Nicolò Migheli)
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