LA STORIA DELL’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO non
è un saggio storico rigorosamente scientifico,
ma va letto come un ‘quasi romanzo’. Ancora oggi i testi scolastici e buona parte dei libri
sulla storia della Sardegna in circolazione riportano la tediosa congerie di
fantomatiche colonizzazioni
dell’Isola in cui abbondano Fenici,
Cartaginesi, Romani, Bizantini, con un
via vai di Pisani e Genovesi, Aragonesi e Spagnoli finché con i Savoia c'è il
ritorno nell'alveo della civiltà italiana. Nella realtà storica, prima che i
Greci solcassero il Mediterraneo con le loro imbarcazioni e 500 anni prima che
i Fenici sbarcassero in Sardegna con le loro mercanzie, l’isola contava già
8000 nuraghi. Perché questi enormi edifici spuntavano come funghi su coste,
pianure, montagne e vie di comunicazione? Fu la ricchezza proveniente dalla
commercializzazione dell’argento, del rame e del bronzo a determinare la
crescita economica della Sardegna e la nascita della Civiltà nuragica. Fu l'
uomo nuragico a sperimentare che fondendo il rame con lo stagno si poteva
ottenere il bronzo, assai più prezioso, buono per oggetti ornamentali e
addirittura per adorare le divinità. Tramontata
la stella di Cartagine furono i Romani
ad avviare ad un intesa attività estrattiva con i damnata ad metalla.
LA STORIA DELL’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO
diventa così storia di miniera portando il lettore nel cuore della terra, nelle fucine degli
antichi artigiani metallurgici, nei laboratori degli alchimisti arabi che
trasformavano le pietre in oro. Abbandonate dagli Spagnoli un seguito
all’afflusso dei metalli dal Nuovo Mondo, le miniere sarde furono riattivate
quando l'isola passò ai Savoia. In quelli anni la legge delle chiudende e
l'abolizione dei feudi incisero
profondamente sull’agricoltura e la pastorizia, ma anche sui rapporti
sociali.
Anche l'oro nero di Sardegna, iI carbone del
Sulcis, ebbe il suo momento di gloria
allorché diventò elemento di interesse nazionale assurgendo a simbolo del
periodo autarchico fra le due grandi guerre. Dopo la Seconda guerra mondiale la
Sardegna affrontò un processo di profonda trasformazione, il più radicale mai
conosciuto in tutto il corso della sua storia. Questo non significa che fino ad
allora la Sardegna fosse vissuta, immobile e immutata, in un tempo statico e
indefinito. Nei secoli aveva intrecciato
rapporti con popoli vicini e lontani, molti vennero in pace, altri da
dominatori e ciascuno lasciò qualche traccia. Aveva vissuto epoche felici e
aveva sofferto soprusi e angherie. I suoi uomini furono mandati a combattere in
luoghi lontani, altri partirono per costruire altrove il proprio futuro. Vi
restava però, intatto il senso di
appartenenza della sua gente, la sua lingua, gli usi, i suoi miti. In questa
terra, dove la leggenda è una cosa sola con la storia, una cavità del suolo
può essere la dimora di una jana, oppure
una galleria brulicante di uomini, di donne e di bambini.
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