giovedì 19 marzo 2015

LA STORIA DELL'ISOLA DALLE VENE D'ARGENTO

                                                            
LA STORIA DELL’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO non è un saggio storico rigorosamente scientifico,  ma va letto come un ‘quasi romanzo’. Ancora oggi  i testi scolastici e buona parte dei libri sulla storia della Sardegna in circolazione riportano la tediosa congerie di fantomatiche  colonizzazioni dell’Isola  in cui abbondano Fenici, Cartaginesi,  Romani, Bizantini, con un via vai di Pisani e Genovesi, Aragonesi e Spagnoli finché con i Savoia c'è il ritorno nell'alveo della civiltà italiana. Nella realtà storica, prima che i Greci solcassero il Mediterraneo con le loro imbarcazioni e 500 anni prima che i Fenici sbarcassero in Sardegna con le loro mercanzie, l’isola contava già 8000 nuraghi. Perché questi enormi edifici spuntavano come funghi su coste, pianure, montagne e vie di comunicazione? Fu la ricchezza proveniente dalla commercializzazione dell’argento, del rame e del bronzo a determinare la crescita economica della Sardegna e la nascita della Civiltà nuragica. Fu l' uomo nuragico a sperimentare che fondendo il rame con lo stagno si poteva ottenere il bronzo, assai più prezioso, buono per oggetti ornamentali e addirittura per adorare le divinità. Tramontata  la stella di Cartagine furono i Romani  ad avviare ad un intesa attività estrattiva con i damnata ad metalla.
LA STORIA DELL’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO diventa così storia di miniera portando il lettore  nel cuore della terra, nelle fucine degli antichi artigiani metallurgici, nei laboratori degli alchimisti arabi che trasformavano le pietre in oro. Abbandonate dagli Spagnoli un seguito all’afflusso dei metalli dal Nuovo Mondo, le miniere sarde furono riattivate quando l'isola passò ai Savoia. In quelli anni la legge delle chiudende e l'abolizione dei feudi incisero  profondamente sull’agricoltura e la pastorizia, ma anche sui rapporti sociali.
Anche l'oro nero di Sardegna, iI carbone del Sulcis, ebbe  il suo momento di gloria allorché diventò elemento di interesse nazionale assurgendo a simbolo del periodo autarchico fra le due grandi guerre. Dopo la Seconda guerra mondiale la Sardegna affrontò un processo di profonda trasformazione, il più radicale mai conosciuto in tutto il corso della sua storia. Questo non significa che fino ad allora la Sardegna fosse vissuta, immobile e immutata, in un tempo statico e indefinito. Nei secoli aveva intrecciato  rapporti con popoli vicini e lontani, molti vennero in pace, altri da dominatori e ciascuno lasciò qualche traccia. Aveva vissuto epoche felici e aveva sofferto soprusi e angherie. I suoi uomini furono mandati a combattere in luoghi lontani, altri partirono per costruire altrove il proprio futuro. Vi restava però, intatto  il senso di appartenenza della sua gente, la sua lingua, gli usi, i suoi miti. In questa terra, dove la leggenda è una cosa sola con la storia, una cavità del suolo può  essere la dimora di una jana, oppure una galleria brulicante di uomini, di donne e di bambini.


Nessun commento:

Posta un commento