Soltanto i libri di testo delle nostre scuole
raccontano, come in un film d’avventura, l’epopea di mille
uomini armati alla leggera che, senza artiglieria, senza mezzi di trasporto,
con un solo sacco sulle spalle e un moschetto a tracolla, conquistarono un
regno di circa dieci milioni di abitanti, difeso da un esercito composto da 120 mila
soldati. E’ ovvio che si tratta di una ricostruzione fantasiosa e
che senza l’aiuto degli Inglesi i garibaldini non sarebbero neppure sbarcati in
Sicilia. Quando Garibaldi arrivò a Marsala il lavoro era già fatto, gli accordi
siglati, le mafie all'opera, l'esercito corrotto, i baroni pronti al
tradimento, le ricompense pattuite, i futuri ruoli assegnati. Non vi era niente
di nuovo sotto il sole, si trattava degli stessi metodi che si usano oggi in molte
aree del mondo. La presenza inglese in Sicilia era dovuta principalmente al
controllo della produzione dello zolfo, di cui l’isola era ricca, poiché produceva i quattro quinti della produzione
mondiale. Lo zolfo era l’ingrediente fondamentale per la produzione della polvere da sparo, era indispensabile per produrre la soda e
l’acido solforico ed aveva all’epoca la stessa importanza che hanno oggi
l’uranio e i petrolio. Prima del 1836 la produzione siciliana
dello zolfo era gestita prevalentemente
da cittadini inglesi. Ritenendo svantaggiose le condizioni economiche della
concessione assegnata agli inglesi Ferdinando II affidò lo
sfruttamento delle zolfare ad una ditta francese, la Taix & Aycard di Marsiglia, la quale si impegnò a versare 400.000 ducati annui al governo borbonico.
Il ministro Palmerston fece recapitare a Ferdinando II una nota minacciosa, che
mandò quest'ultimo su tutte le furie. Dopo lunghe schermaglie diplomatiche, nel 1840 la Gran Bretagna inviò una flotta navale nel golfo di Napoli con l'ordine
di bloccare le navi battenti bandiera delle Due Sicilie. Ferdinando II rispose
ordinando l'embargo contro tutte le navi mercantili britanniche presenti nei porti del
regno o lungo le sue coste. (…) Il governo inglese svolse un ruolo fondamentale
nella spedizione
dei Mille. Prima che i garibaldini giungessero in Sicilia,
il contrammiraglio George Rodney Mundy, vicecomandante della Mediterranean Fleet della Royal Navy, ricevette l’ordine di incrociare nel Tirreno e nel canale di Sicilia, effettuando frequenti scali nei porti siciliani, oltre che a scopo
intimidatorio, per attenuare la capacità di reazione borbonica. Il
luogo dello sbarco non fu casuale: a
Marsala c’era una vastissima comunità inglese coinvolta in grandi
affari, tra i quali il più importante era legato alla viticoltura. Alla vigilia
dello sbarco l’ammiragliato inglese ordinò che i piroscafi bellici Argus e
Intrepid, facessero rotta su Marsala, ufficialmente per proteggere i sudditi
inglesi, ma in realtà con lo scopo di favorire l’entrata in rada delle navi
piemontesi. I piroscafi Piemonte e Lombardo arrivarono nel porto di Marsala
alle 14 in punto, in pieno giorno, e questo dimostra quanta sicurezza avesse
Garibaldi, che altrimenti sarebbe sbarcato di notte. L’approdo avvenne proprio di fronte al Consolato inglese e alle
fabbriche inglesi di vini Ingham e Whoodhouse, con le spalle coperte dai
piroscafi britannici che, con l’alibi della protezione delle fabbriche,
ostacolavano i colpi di granate dell’incrociatore borbonico Stromboli, giunto
sul posto insieme al piroscafo Capri e la fregata a vela Partenope. Difesi
dagli Inglesi, Garibaldi e i suoi Mille sbarcano sul molo nell’indifferenza dei
marsalesi. Il 13 maggio Garibaldi occupò Salemi, stavolta nell’entusiasmo,
perché il barone Sant’Anna, uomo potente del posto, si unì a lui con una banda
di picciotti. A Salemi Garibaldi si proclamò Dittatore
della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele re d'Italia. Il 15
Maggio si combatté la storica battaglia di Calatafimi, se il 15 maggio 1860 Garibaldi avesse perso, l'
epopea dei Mille sarebbe finita lì, a due passi dalle rovine di Segesta. Le
soverchianti truppe borboniche guidate dal generale Landi stavano per avere la
meglio sulle camicie rosse, stremate e senza più cartucce, mentre il generale
Nino Bixio proponeva una ritirata Garibaldi pronunciò la celebre
frase: "Qui o si fa l'Italia o si muore". A quel punto accadde l'
incredibile: i soldati del re borbone abbandonarono le loro postazioni e si
diressero verso Palermo. L’Italia si fece ma la domanda rimane: perché un
esercito ben addestrato se la svignò a gambe levate davanti a dei giovanotti
stanchi morti e male armati?
Dopo
Calatafimi, Garibaldi, s’inoltrò nel cuore della Sicilia mentre le navi
inglesi, sempre più numerose, ne controllavano le coste, seguendo in parallelo
per mare l’avanzata delle camicie rosse su terra. Garibaldi entrò a Palermo
rafforzato da uomini e armi modernissime, quali le carabine-revolver americane
Colt e il fucile rigato inglese Enfield. Quando l’eroe dei due mondi passò sul
territorio peninsulare, le navi inglesi continuarono a scortarlo dal mare fino
al suo ingresso a Napoli. Il
26 ottobre 1860 si concluse la grande
avventura delle camicie rosse. La storia risorgimentale dà molta enfasi
all’incontro di Teano, fra tante discordanze e fantasie, tutti sono concordi
nel fatto che nella mattinata del 26 ottobre, fra Caianello e Teano, Garibaldi
consegnò l'Italia Meridionale a Vittorio Emanuele, ricevendone in cambio solo
una stretta di mano.
Nella storia che portò all’annessione del Regno delle
Due Sicilie al Piemonte non ci fu nulla
di eroico. L’Unità fu fatta per un progetto espansionistico dei Savoia, della
nobiltà e dell’alta borghesia piemontese, sostenuto dall’Inghilterra e dalla
Francia. Si
trattò di avvenimenti ben compendiati dal famoso motto di Tomasi di Lampedusa
nel Gattopardo: “Che tutto cambi perché niente cambi”. Dalla spedizione dei Mille
alle plebi meridionali rimase la leva militare obbligatoria, la spogliazione
delle risorse, le rivolte contro l’occupazione piemontese, e i moti
anti-sabaudi, come quello di Palermo del 1866, repressi nel sangue dai prefetti
e dall’esercito piemontesi. Un capitolo di storia che i Sardi avevano giù
vissuto. (Angelo Mascia, LA STORIA DELL'ISOLA DALLE VENE D'AGENTO)
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