lunedì 25 maggio 2015

L'OSSIDIANA DEL MONTE ARCI


Sa pedra crobina, la pietra nera come il corvo, è un vetro vulcanico,scuro e lucente che si è formato col raffreddamento rapido di lave dalla composizione acida. L’omogeneità della sua struttura, la sua durezza e le diverse tecniche di scheggiatura, ne facevano una delle materie prime più apprezzate fin dal Paleolitico per la realizzazione di utensili d’uso quotidiano. (…)



L’intensificarsi delle reti di scambio delle materie prime nel Neolitico agevolò una vasta diffusione di questa risorsa, che raggiunse anche territori nei quali erano disponibili pietre alternative altrettanto efficaci. Nel Mediterraneo occidentale i giacimenti di ossidiana, oltre che sul Monte Arci, si trovavano nell’isola di Lipari, in quella di Palmarola, nelle Isole Ponziane e a Pantelleria. Il loro reperimento implicava il possesso di consolidate capacità di navigazione,
perciò l’attuale interesse degli archeologi per l’ossidiana è incentrato, oltre che sui sistemi di produzione delle diverse comunità preistoriche che la utilizzavano, anche sugli aspetti connessi alla sua circolazione. L’ossidiana conserva inalterata nel tempo la sua composizione e, per questa caratteristica, è studiata da decenni
per localizzarne la provenienza e scoprire i contatti e le interazioni tra le comunità preistoriche nelle più disparate regioni della terra. Dagli studi di alcuni ricercatori italiani e francesi è emerso che le tre tipologie presenti nel monte Arci sono state rinvenute in Liguria, in Francia, in Toscana, in Corsica e nella Pianura Padana. (Angelo Mascia, L’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO)


domenica 24 maggio 2015

I BARONI DELL'ARCHEOLOGIA E L'ISOLA DELL'OBLIO TOTALE



Tra il 1300 e il 1100 prima di Cristo i Shardana saettano con le loro navi da una costa all' altra del Mediterraneo. In quegli anni terribili  nel Medioriente succede di tutto: nel 1183 cade Troia, si frantumano uno dopo l' altro l' impero miceneo, quello ittita, traballa forte persino quello egizio... E loro, predoni di mare, mordono e fuggono. E pensare che per anni i bronzetti nuragici sono sembrati solo gadget di un vecchio film andato distrutto. Sparito il copione, rimangono solo i set della vicenda: quegli 8000 poderosi nuraghi tirati su con pietre anche di sette tonnellate, rimasti in giro nell’isola. Altre migliaia devono essere sotto terra, o inglobati nelle fondamenta di chiese e città. Centinaia sono sul mare o vista mare o, ormai, dentro il mare. E loro, i bronzetti, sempre lì, muti, a farsi trovare anche in Etruria, a 180 chilometri di mare più in là e nei luoghi santi dell' antica Italia, per sentirsi poi fantasticare addosso la loro storia di popolo isolato, senza scrittura, senza navi. Non sono mai bastati i segnali che cercavano di lanciare: quei gonnellini orientali, le barbette mesopotamiche, i decori assiri delle armature... E neppure sono servite le rappresentazioni di navi che s' erano portati a decine nelle tombe per far capire ai posteri che li avrebbero trovati 3500 anni più tardi, che navigare, per loro, era cosa importante, importantissima. Del tutto inutile persino il fatto che scavando nuraghi saltasse fuori roba che veniva da tutto il Mediterraneo e che, in tutto il Mediterraneo, si trovi non solo ossidiana sarda ma anche bronzetti e ceramiche. E persino - proprio nei posti dove gli Shardana nel vicino Oriente avevano creato le loro basi militari - architetture tecnicamente simili a quelle nuragiche, come quell' edificio scoperto a El-Awat, vicino ad Haifa, da un équipe sardo-israeliana. Niente da fare! Il primo comandamento dell' archeologia sarda era ed è rimasto “ I sardi avevano paura del mare! “ E chi sostiene che i Sardi erano guerrieri, mercanti e navigatori è un eretico o, se gli va bene, un visionario. Per i baroni dell’archeologia la Sardegna continua ad essere  l' isola dell' oblio totale: popoli di mare, arrivati qui per secoli e secoli via mare, che d' improvviso - senza ancora gli eserciti punici o romani a far paura sulle coste - perdono la capacità di navigare. Niente di più stupidamente falso: allora il mare univa, non divideva. Il Mediterraneo era una grande autostrada  e la Sardegna era il terminal più importante.

sabato 23 maggio 2015

ATLANTIDE NON E’ LA SOLA CITTA’ SCOMPARSA IN SARDEGNA




Conoscete la misteriosa città di Metalla? Il nome è attestato nell’Itinerarium Antonini, ma la sua ubicazione rimane un mistero irrisolto. Sappiamo solo che la statio di Metalla si trovava nella strada da Tibulas a Sulki, a 30 miglia a sud di Neapolis: le fonti antiche riferiscono che era un centro minerario, governato da un procurator metallorum, dotato di un edificio termale con pavimenti mosaicati e un orologio pubblico. Da allora Metalla è scomparsa nel nulla e l’individuazione della sua ubicazione da cinque secoli appassiona gli studiosi di cose sarde. 
Il ritrovamento presso le dune sabbiose fra Santu Nicolau e Portixeddu di 17 scheletri umani, uno dei quali con anelli di ferro alle caviglie, ritenuti appartenenti a schiavi damnati ad metalla, avvalora l’ipotesi che Metalla si trovasse sulla costa. 
Col tempo, le dune di sabbia più imponenti dell’isola e di tutto il continente europeo potrebbero aver coperto, facendola sparire, l’antica città mineraria. 
Con un pizzico di speranza fantastichiamo che Metalla possa vedere nuovamente la luce riemergendo da sotto la sabbia, per raccontarci le vicende degli uomini che la popolarono. ( Da L’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO D ANGELO MASCIA)


LA SCRITTURA DEI NURAGICI

Per decenni la Sardegna nuragica è stata dipinta come una civiltà agro-pastorale, facile preda dei dominatori di turno, ma finalmente anche certi vecchi tromboni dell’establishment accademico e archeologico riconoscono che i Sardi nuragici  erano anche  navigatori, guerrieri e mercanti. Quando nei territori dell’attuale Lombardia gli uomini vivevano ancora di caccia e di raccolta e abitavano nelle palafitte, mille anni prima che le imbarcazioni dei Greci solcassero il Mediterraneo, la Sardegna contava già migliaia di nuraghi. Perché questi enormi edifici fortificati spuntavano come funghi su coste, pianure, montagne e vie di comunicazione? A determinare la nascita della Civiltà nuragica fu la ricchezzaproveniente dalla commercializzazione dei metalli. Le navicelle di bronzo, che riproducevano le vere imbarcazioni sarde, testimoniano forti legami con la Civiltà micenea, la Spagna, l’Italia, Cipro e il Vicino Oriente.   

Lo sviluppo economico della Sardegna era il più importante di tutto l’Occidente mediterraneo di allora. Ceramiche askoidi, anfore, tripodi e spade di tipo nuragico sono state trovate oltre lo Stretto di Gibilterra, a Huelva, Tarragona, Malaga, Teruel e Cadice. Grazie alle relazioni commerciali con altri popoli, i Nuragici avevano a disposizione un ampio ventaglio di merci e prodotti e nello stesso tempo arricchivano il loro patrimonio culturale. L’abbondanza di cibo e il benessere erano testimoniati dalle ceramiche, dagli oggetti di uso quotidiano e dai gioielli di pregevole fattura. In tutti i territori dell’isola vi era grande disponibilità dei prodotti di base per l’abbigliamento e, oltre alla lana di capre e pecore, si utilizzavano lino, pelle, cuoio, cui si aggiungevano i tessuti più pregiati quali il bisso e la porpora. Non c’è da stupirsi se nel clima di apertura culturale del IX secolo a.C. in Sardegna maturassero le condizioni per la nascita della scrittura. Nell’isola sono state trovate iscrizioni in alfabeto geroglifico egizio e in minoico e numerose in fenicio, in etrusco, in greco. In totale sono 55 i segni di scrittura alfabetica ritrovati in 32 manufatti (vasi, pesi da bilancia e lingotti) risalenti ai secoli IX-V) a.C. La stele di Nora in pietra arenaria è la prima e più antica forma di scrittura della Sardegna. Scritta in lettere fenicie si legge da destra verso sinistra. La datazione dell’iscrizione risale periodo compreso tra il 750 e l’800 a.C., quando Roma non era ancora stata fondata. 




venerdì 22 maggio 2015

LA NASCITA DELLA SARDEGNA


 Dopo la gran fatica della creazione, alla fine del sesto giorno Dio guardò il mare a ovest del Tirreno e, avendolo trovato troppo solitario, prese un po’ di terra frammista a dei massi di granito e la gettò in quell’acqua cristallina. Premette il piede calzato sui ruvidi sassi e, sollevatolo, vide che la terra aveva assunto il segno del suo sandalo. Si compiacque della forma dell’isola, sorrise e disse: “La chiamerò Ichnusa”.
Sentendosi però quasi in colpa per averla fatta da un avanzo, pensò di abbellirla. Fece così nascere colline e montagne, bastioni di granito e di basalto, pietre dalle forme più strane, pianure dolci e ondulate. Al suo cenno, lungo i fianchi delle
alture e a valle crebbero boschi di lecci e sughere, mirti profumati e corbezzoli splendenti, castagni e ginepri.
                                                                (Antica leggenda sarda)

Per raccontare la storia geologica della Sardegna occorre partire dall’alba dei tempi. È una storia intricata, fatta di orogenesi,eruzioni vulcaniche, mutamenti climatici, movimenti tettonici e sedimentazioni oceaniche, che comincia quando l’Italia, l’Europa e i restanti continenti, come siamo abituati a conoscerli,ancora non esistevano. Le tracce di questa storia sono scolpite nelle rocce che, da Capo Orso alle Falesie di Su Tingiosu, dalle Gole di Gorruppu alla Giara di Gesturi, ci regalano i paesaggi mozzafiato di cui tutti, Sardos e istranzos, siamo innamorati.
(da Angelo Mascia, L'isola dalle vene d'argento)