sabato 21 maggio 2016

LA POLVERE MAGICA CHE FA INNAMORARE LE PERSONE


Ugone e Gonario si addentrano nei vivaci meandri del suk. Il giovane rimane incantato alla vista dell’enorme quantità di spezie allineate come sofisticate danzatrici in mucchietti colorati che s’accostano in modo geometrico come tessere d’un pregiato mosaico. Gonario è attirato dai modi affabili di un mercante che li invita ad entrare nella sua bottega. Li fa sedere e offre loro una tazzina di the alla menta. Il mercante è un bravo affabulatore e Gonario segue affascinato il suo racconto.



Un tempo viveva a Tunisi un uomo che, arrivato quasi ai trent’anni, non era ancora riuscito a trovare moglie. Aveva un buon lavoro e una bella casa, ma nessuna ragazza della città accettava la sua proposta di matrimonio. Una sera Abdhul, così si chiamava l’uomo, rientrando alla sua casa, notò in lontananza una donna molto bella dai lunghi capelli ricci. Non l’aveva mai vista prima e pensò fosse una straniera di passaggio. Cominciò a seguirla a distanza con l’intenzione di scoprire chi fosse e magari di fare la sua conoscenza. La donna attraversò la città senza fermarsi, dirigendosi verso l’uscita sempre seguita da Abdhul. I due camminavano a poche decine di metri l’uno dall’altro, quando l’uomo tentava di avvicinarsi la donna allungava inspiegabilmente il passo e se egli per caso accennava una corsa, ella lo imitava immediatamente. Abdul la seguì per tutta la notte finché al mattino arrivò al molo che chiudeva il porto,mala ragazza era scomparsa. Aguzzando lo sguardo riuscì a scorgere una figura che camminava sull’acqua che, inspiegabilmente, sotto i suoi piedi diventava terra. La seguì senza esitare, sempre tenendosi a debita distanza. Superarono i mari più azzurri e gli oceani più profondi con la bonaccia e con la tempesta. Non appena metteva piede a terra in qualche porto e in qualche spiaggia, la ragazza si fermava un attimo ma poco dopo ripartiva. Era instancabile e dopo i mari fu la volta di dover attraversare, passo dopo passo, boschi interminabili e alte montagne. Davanti a tali vette, Abdhul si spaventò non poco, a preoccuparlo  ancor di più, erano i bianchi fiocchi di neve che non aveva mai visto. Più di una volta desiderò il sole di Tunisi, ma il desiderio di seguire quella donna era più forte di tutto. Soltanto standole dietro dimenticava il senso di solitudine che a lungo aveva reso tristi i suoi giorni. L’uomo e la donna camminarono per anni, senza che la ragazza si fermasse o si voltasse. Ad un certo punto le loro gambe iniziarono a diventare più lente e pesanti. Abdhul si accorse anche di alcuni capelli bianchi che erano spuntati qua e là e della pelle che cominciava a diventare ruvida e segnata dal trascorrere del tempo. Nonostante invecchiasse senza aver raggiunto la ragazza, era comunque felice. Un giorno il loro cuore non resse più la fatica di un viaggio così lungo e entrambi crollarono a terra a pochi passi l’uno dall’altra.
- Mi hai seguita da un capo all’altro del mondo - disse la donna che aveva i capelli ormai bianchi - con una tenacia che neppure il più caro amico avrebbe potuto dimostrarmi. Adesso che io sto per morire spiegami perché lo hai fatto.
- Anch’io sono distrutto dalla fatica. Mi hai fatto camminare tantissimo e ogni volta che stavo per raggiungerti tu fuggivi. Non volevo farti del male, ti inseguivo attraverso il mondo per consegnarti questa.
Abdhul trasse da un sacchetto di pelle che aveva appesa alla cintola una perla dalla luce abbagliante. La donna la prese tra le dita e riconobbe la famosa perla di Tunisi di cui tutte le ragazze del mondo favoleggiavano.
- E’ la perla che da fortuna, serenità e amore.
- Ti ringrazio, ma ahimè è ormai troppo tardi.
Si strinsero la mano ed entrambi morirono nel medesimo istante. Quasi immediatamente quei due corpi senza vita, si trasformarono in polvere, formando due piccoli mucchi di diverso colore. Il vento li sollevò e li mischiò formando una sottile tromba d’aria, che iniziò vorticosamente a vagare velocissima, fino a terminare la sua corsa nelle vicinanze di Tunisi. Un contadino che passava di lì recandosi in città per vendere i suoi datteri, trovò sulla sua strada un piccolo mucchio di polvere di due colori. Incuriosito lo raccolse e lo mise in un sacchetto che portò con sé al mercato. Per guadagnare qualcosa in più pensò di vendere quella strana polvere trovata lungo la strada, dicendo che era capace di far innamorare le persone. Il successo di tale idea fu immediato, ed in breve tempo centinaia di persone dalle città vicine si recarono a Tunisi alla disperata ricerca di quella polvere magica.(Da Angelo Mascia, Boe Muliake il templare)

sabato 14 maggio 2016

EROI SCONOSCIUTI


Questa foto sta facendo il giro del web. Ritrae  la grande stanchezza di medici e infermieri dopo un trapianto di cuore durato 23 ore e perfettamente riuscito. 
Mi fa pensare al mio  intervento al cuore di nove anni fa, durato sei ore, che mi ha risolto un problema congenito alla valvola mitrale.

Un cardiochirurgo con le braccia appoggiate sulle gambe per la stanchezza, dopo un intervento perfettamente riuscito di trapianto di cuore durato 23 ore. Notasi infermiera in un angolo che dorme rannicchiata stremata dalla tensione e dalla fatica.
Queste cose succedono ogni giorno in tutta Italia, in Europa e nel mondo intero. A questi eroi sconosciuti non vengono elargiti ingaggi milionari come ai cantanti, agli attori e ai calciatori. Anzi molto spesso vengono denigrati e messi alla berlina perchè qualcuno di loro non ha capito che lavorare nella Sanità è una missione e non un mestiere da prendere alla leggera.

venerdì 13 maggio 2016

Salmone d’allevamento, scienziato USA: ‘Evitatelo come la peste’


Ormai è sempre più difficile pescare salmone selvatico, dato che lo stock dell’Atlantico è in estinzione e quello del Pacifico è in declino. Il salmone che finisce sulle nostre tavole è, quasi sempre, salmone d’allevamento intensivo, che, spiega Slow Food, “non costituisce una buona alternativa, né per noi, né per ambiente ed ecosistemi“. Lo scienziato americano David O. Carpenter in un articolo del 2004 affermava che “bisogna evitare il salmone come la peste” e una dottoressa norvegese, Anne-Lise Bjørke Monsen, ha rischiato la carriera per averne sconsigliato il consumo a bambini e mamme. Secondo l’associazione, la cui missione è “ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi” ci sono almeno 10 motivi per cui non dovremmo mangiaresalmone d’allevamento. Eccoli di seguito:
1) Negli allevamenti intensivi i reflui non vengono mai lavati via e si lasciano semplicemente cadere attraverso le reti. Pensateci, è come se non cambiaste mai la sabbietta al vostro gattino… Il risultato sono migliaia di tonnellate di escrementi e rifiuti che si depositano nel fondale intorno agli allevamenti che non vengono mai rimossi.
2) 600 000 salmoni che nuotano in una zuppa di muco ed escrementi alimentano le mutazioni di agenti patogeni che si diffondono dall’Atlantico fino al nostro supermercatino sotto casa.
3) Uno scienziato statunitense dopo un lungo studio sugli allevamenti intensivi di salmone ha dichiarato ai media: «Si dovrebbe evitare il salmone di allevamento come la peste».
4) I salmoni di allevamento spesso sono colorati di rosa per imitare i salmoni selvaggi. I produttori utilizzano Salmo Fan per ottenere il colore che il mercato richiede. Come fanno? Aggiungono il colorante nel mangime, facile
5) Ad aprile 2013, la Norvegia ha ottenuto il consenso dell’Unione Europea per aumentare le quantità di Endosulfano nei mangimi. Sapete che cosa sia? Un pesticida mega tossico bandito in numerosi Paesi.
6) Se il mangime dato ai salmoni contiene derivati animali (soprattutto dai maiali) il salmone affumicato è Kosher?
7) Foche, uccelli e leoni di mare spesso rimangono intrappolati nelle reti che delimitano gli allevamenti
8) Una cosa che vi ripetiamo sempre: gli allevamenti intensivi non sono assolutamente efficienti e per ottenere un kg di salmone ne servono almeno 5 di altri pesci. E contribuiscono largamente alla riduzione degli stock ittici che sta portando all’estinzione di molte specie.
9) Ovunque ci siano allevamenti di salmone intensivi si è registrato un calo drastico dei salmoni selvatici
10) I medici norvegesi consigliano alle mamme in attesa di evitare il salmone a causa dell’alto livello di tossine contenute in quelli da allevamento intensivo. Sostanze conosciute per provocare danni allo sviluppo del cervello nei bambini. La dottoressa Anne-Lise Bjørke Monsen ha rischiato la sua carriera per aver divulgato questa informazione. Ma dal momento che migliaia di persone mangiano salmone convinti che faccia bene alla loro salute dovrebbero invece conoscere tutti i rischi collegati


Fonte: http://www.tzetze.it/redazione/2015/02/salmone_dallevamento_scienziato_usa_evitatelo_come_la_peste/

NON CI SONO FIGLI LEGITTIMI, NATURALI E ADOTTIVI, TUTTI I BAMBINI SONO FIGLI E BASTA



Nel 1985 ho avuto per la prima volta come alunna una bambina adottata. In tanti anni di insegnamento ho avuto in classe altri ragazzi che venivano, come lei, da paesi lontani e nessuno dei miei alunni l’ha considerato un elemento di differenza. Condivido questo post di Marta, perché sentire al telegiornale quella ‘distinzione’ ha fatto male anche a me. L’unico titolo che esibisco con orgoglio è quello di ‘Difensore ideale dei Bambini’, conferitomi nel 1994 da Unicef Italia, per questo condivido pienamente l’inca@@@@tura  di Marta. 

“Adesso basta!!!!! sono inca@@ata nera!!!! quanta ignoranza, quanta voglia di scoop!! ma è necessario ripetere ogni due parole "figlio adottivo", "genitori adottivi", "fratelli adottivi"?
Uccidere i propri genitori è innaturale, terribile, spaventoso e questo non cambia sia che il figlio sia adottivo o biologico! Uccidere un altro essere umano è sempre terribile e innaturale! 
Forse quando un figlio biologico uccide i genitori al telegiornale dicono che è un figlio biologico? perchè sembra che sia più grave se il figlio è adottivo? 
In questo modo non si fa che alimentare ulteriormente l'ignoranza che già esiste attorno a questo argomento, non si fa altro che aumentare la diffidenza verso i bambini e i ragazzi adottati!!!
stamattina in una trasmissione rai, un prete ha parlato dei bambini adottati come fossero cani, dice che non si conosce il loro pedigree quando si adottano, che potrebbero essere figli di chissà chi........no, sono figli nostri, figli di chi li adotta, di chi li cresce, di chi li ama.......dovrebbero essere figli della comunità in cui vivono, dovrebbero essere aiutati e non allontanati come spesso accade..... e, sopratutto, non dovrebbero essere "bollati" come figli adottivi, come fosse un marchio, un'infamia, una vergogna!!!! Sono "solo" figli, figli e basta, FIGLI!!!!!!!!”

domenica 1 maggio 2016

La forza delle idee - Progetto Sardara



Progetto Sardara è stata costituita  da un gruppo di Sardaresi con esperienze, formazione politica e culturale diverse, cittadini  preoccupati per il modo in cui il paese è stato amministrato negli ultimi dieci anni. La  convergenza dell’esperienza amministrativa,  delle competenze e dell’entusiasmo ha portato l’associazione   ad elaborare un Metodo nuovo per amministrare il Comune incentrato su questo principio: Mettere a reddito a Sardara le spese e gli investimenti dei Sardaresi; far sorgere a Sardara centri di produzione economica in cui i Sardaresi siano protagonisti; utilizzare la pulizia, il decoro e il mantenimento del patrimonio culturale e urbanistico come strumenti economici fondamentali per lo sviluppo dell’accoglienza  turistica.
Per mesi abbiamo proposto progetti e idee con l’obiettivo di suscitare la voglia di partecipazione alla vita comunitaria e nella speranza che, per il bene del paese,  i partiti facessero un passo indietro e contribuissero a dare vita a una Lista Civica fondata su un Progetto di rinascita culturale, economica e sociale dichiarato e condiviso con i Cittadini.
I partiti non ne hanno voluto sentire. Dopo essersi disinteressati per anni del paese rispuntano per indicare canditati sindaci e consiglieri. Qualche settimana di campagna elettorale al vetriolo, con scambi di accuse reciproche e poi spariranno di nuovo. Per amministrare bene occorrono dialogo, mediazione, discrezione, determinazione obiettivi e risultati: sono concetti che negli ultimi dieci anni non hanno albergato né a  Villa Diana, sede del Consiglio Comunale,  né nel Municipio.
Le proposte di Progetto Sardara, molto apprezzate dai Sardaresi, sono state lette  dai politicanti locali secondo i canoni della vecchia e stereotipata campagna elettorale squalificandone i contenuti tentando di affermare il primato dei candidati sulle idee e sulle proposte. I partiti chiedono ai cittadini di votarli non per i Progetti e le proposte ma per evitare di far vincere lo schieramento avverso.  Chi non ci sta a questo schema è bollato come demagogo. 
Progetto Sardara è nata per unire il paese. Per questo la Lista di Progetto Sardara non ci sarà. Non siamo interessati a questi metodi di confronto.
Noi guardiamo ad un paese che riprenda a crescere  con la forza delle idee e la partecipazione dei Sardaresi. L’azione e l’attività di Progetto Sardara continua e nei prossimi mesi si intensificherà: Supporteremo con lealtà il Sindaco e la sua Giunta nel rilancio di Sardara e vigileremo con fermezza sull’operato degli Amministratori.
Progetto Sardara opererà con spirito di servizio verso la comunità e attiverà iniziative che vedranno l’impegno diretto delle cittadine e dei cittadini di Sardara nel piano di crescita sociale ed economica per i prossimi decenni. Anche senza occupare qualche scranno in Consiglio saremo sempre tra la gente con impegno ed entusiasmo.

                                               Progetto Sardara


venerdì 29 aprile 2016

La Sardegna nel 1926

Documentario Istituto Luce -  La Sardegna nel 1926 

Video: https://www.youtube.com/watch?v=Vy7Tw3Kf310


I pitzinnos pastores partigianos

Furono settemila i partigiani sardi che combatterono nella guerra di liberazione. Erano sos pitzinnos pastores partigianos sbandati dopo l’8 settembre 1943. Si chiamavano Pietro Tola di Thiesi, Modesto Melis di Gairo, Gian Gavino Tolis di Chiaramonti, Antonio Del Rio di Tonara, Vittorio Palmas Cazzài di Perdasdefogu e tanti altri. Ed erano pitzinnos come Mario Careddu di Luras, nome di battaglia Diana, fucilato dai nazisti a 23 anni e come Salvatore Cubeddu di Sassari, che un nome di battaglia non ha forse avuto il tempo di scegliere, perché fu ucciso a 23 anni. Erano pastores che non possedevano una visione politica definita e orientata verso un sistema di società nuovo; però sicuramente erano coscienti di appartenere a quelle comunità custodi di fondamenti etici universali, ai quali non potevano venire meno neanche in situazioni di vita completamente diverse. Proprio la pedagogia dell’ovile, quella situazione educativa ben definita nelle pagine di Antonio Pigliaru, li sorreggeva e li accompagnava in quelle tragiche vicende. (Angelo Mascia, L’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO)

lunedì 15 giugno 2015

LO SCIABORDIO DELL'ONDA SULLA BATTIGIA, LA BUONA SCUOLA E LA VERGINE CUCCIA


Dicono che ascoltare lo sciabordio delle onde sulla battigia sia il metodo più efficace per scaricare lo stress di un anno scolastico particolarmente impegnativo. Sarà per questo che da tanti  anni dal primo luglio prendo una casetta in affitto a Putzu Idu. Le  lunghe passeggiate tra la Salina manna e le falesie di Su Tingiosu, il silenzio del faro di Capu Mannu e i voli di fenicotteri all’ora del tramonto sono ideali per ‘recuperare l’equilibrio psico-fisico’  indispensabile per affrontare un nuovo anno scolastico in compagnia di una sessantina di ragazzi in piena crisi preadolescenziale e adolescenziale. Anche Sandro, Linda  e il gruppo di colleghi pisani, la preside Lia, il maestro di pianoforte Delvecchio, la scrittrice austriaca Susanne,  anche lei affetta dal mal di Sardegna, sbarcheranno il primo luglio a Putzu Idu. E ci sarà anche Stefano Benni,  che dai pescatori di Su Pallosu ha appreso quelle colorite espressioni in sardo che troviamo nei suoi racconti e se lo incontri al bar di Lepori pensi che sia anche lui un pescatore. Io però quest’anno il primo luglio mancherò all’appuntamento. Mi dispiace, perché  il primo  si farà la conta di chi c’è e chi non c’è, si parlerà del governo Renzi (gli amici pisani votano tutti Pd) e della riforma della scuola.
Dirigente, ho fatto questa lunga premessa per dirLe che essere presente a scuola l’1 e il 2 luglio per la consegna del documento di valutazione della classe Terza A, mi crea qualche difficoltà.  Alla mia richiesta di ferie ha risposto che ‘sono subordinate alla concessione delle stesse da parte del dirigente scolastico’. So che il datore di lavoro non è tenuto a negoziare il periodo di ferie con il lavoratore, e che il dirigente tra i tanti poteri dispone anche di quello di concedere le ferie, ma è pur vero che deve essere fatta una valutazione tra le esigenze dell’azienda e gli interessi dei lavoratori. Ho usato il termine azienda al posto di scuola, per dimostrarLe che anche io sto cominciando ad entrare nell’era della riforma della Buona scuola. Raccontano che l’anno scorso nei confronti di un collega sia stato avviato un procedimento disciplinare per non aver partecipato alla consegna delle schede. Collega incauto. Se venisse approvata la riforma potrebbe fare la fine dell’empio servo di La vergine cuccia di Parini
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d’arcani uficj: in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne
dell’assisa spogliato ond’era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
Signor sperò; ché le pietose dame
inorridìro, e del misfatto atroce
odiàr l’autore. Il misero si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
e tu vergine cuccia, idol placato
da le vittime umane, isti superba.






mercoledì 10 giugno 2015

ULTIMO GIORNO DI SCUOLA



Ultimo giorno di scuola. Suona la campanella, aspetto il cambio  in Seconda B, ancora  un’ora e l’anno scolastico è finito. Conclusione da mesi  evocata e sognata da alunni e prof. La porta si apre e Francesca, la supplente di inglese, ha le lacrime agli occhi. ‘ Non ce la faccio a salutarli, non posso farmi vedere da loro mentre piango.’ Sorrido e le spiego che a me è capitato tantissime volte. Ho fatto la prima supplenza a vent’anni, non so quasi più da quanti anni insegno, e non so neppure tra quanti anni andrò in pensione, so solo che i giorni più belli dell’anno scolastico sono, ossimoricamente, l’ultimo e il primo. Rientriamo insieme in classe e spieghiamo ai ragazzi che i prof, anche quando urlano con la loro voce stridula e li rimproverano, anche quando danno compiti impossibili e fanno le verifiche di lunedì, anche quando sembrano insopportabili e antichi vogliono loro un sacco di bene. Francesca li abbraccia uno per uno e le sue lacrime si mescolano con quelle dei ragazzi. Io no, ho 37 anni di servizio e mica posso farmi vedere in lacrime dagli alunni! Ad ogni buon conto esco dall’aula e vado in sala professori, per fortuna non c’è nessuno.

lunedì 8 giugno 2015

Lo scrittore Angelo Mascia presenta il suo nuovo libro: i Sardi del X secolo a. C. avevano una potente civiltà urbana.

       

C’era la folla delle grandi occasioni al cineteatro di Sardara e alla festa per la pubblicazione del nuovo libro di Angelo Mascia L’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO. I numerosi interventi, tra i quali quelli di Giuseppe Marras e di Lauro Onnis, hanno sostenuto la tesi dello scrittore secondo il quale le presunte dominazioni dei Fenici e dei Cartaginesi sono frutto della storiografia antiquata dei baroni dell’archeologia. I giganti di Monti Prama, nascosti per 30 anni negli oscuri magazzini del museo di Cagliari, cambiano la storia della Sardegna e del Mediterraneo. A Monti Prama c’era   una città, una città sarda come  Nora, Bithia, Karalis, Tharros,  Bosa, Sulky  che esistevano ben prima che in Sardegna sbarcassero i Fenici con le loro mercanzie. I Sardi non erano eternamente dominati o isolati, ma avevano una grande e potente civiltà urbana che basava la sua ricchezza sull’ argento delle sue miniere, su di un’agricoltura che utilizzava tecniche agricole molto avanzate e sui commerci. Queste attività producevano un surplus di ricchezza  che consentiva la costruzione di un’impressionante rete di nuraghi in tutto il territorio dell’isola e che presupponevaun’articolata organizzazione statuale e  sociale. La mitologia della Sardegna immobile e isolata crolla come un castello di sabbia. I Sardi del X secolo a.C. avevano una civiltà urbana e conoscevano la scrittura. Anche le cariatidi del mondo accademico e archeologico devono prendere atto di quanto scrittori coraggiosi come Angelo Mascia vanno ripetendo da tempo. 

Prossima presentazione dell’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO  a Sant’Antioco, l’antica Sulky.


lunedì 25 maggio 2015

L'OSSIDIANA DEL MONTE ARCI


Sa pedra crobina, la pietra nera come il corvo, è un vetro vulcanico,scuro e lucente che si è formato col raffreddamento rapido di lave dalla composizione acida. L’omogeneità della sua struttura, la sua durezza e le diverse tecniche di scheggiatura, ne facevano una delle materie prime più apprezzate fin dal Paleolitico per la realizzazione di utensili d’uso quotidiano. (…)



L’intensificarsi delle reti di scambio delle materie prime nel Neolitico agevolò una vasta diffusione di questa risorsa, che raggiunse anche territori nei quali erano disponibili pietre alternative altrettanto efficaci. Nel Mediterraneo occidentale i giacimenti di ossidiana, oltre che sul Monte Arci, si trovavano nell’isola di Lipari, in quella di Palmarola, nelle Isole Ponziane e a Pantelleria. Il loro reperimento implicava il possesso di consolidate capacità di navigazione,
perciò l’attuale interesse degli archeologi per l’ossidiana è incentrato, oltre che sui sistemi di produzione delle diverse comunità preistoriche che la utilizzavano, anche sugli aspetti connessi alla sua circolazione. L’ossidiana conserva inalterata nel tempo la sua composizione e, per questa caratteristica, è studiata da decenni
per localizzarne la provenienza e scoprire i contatti e le interazioni tra le comunità preistoriche nelle più disparate regioni della terra. Dagli studi di alcuni ricercatori italiani e francesi è emerso che le tre tipologie presenti nel monte Arci sono state rinvenute in Liguria, in Francia, in Toscana, in Corsica e nella Pianura Padana. (Angelo Mascia, L’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO)


domenica 24 maggio 2015

I BARONI DELL'ARCHEOLOGIA E L'ISOLA DELL'OBLIO TOTALE



Tra il 1300 e il 1100 prima di Cristo i Shardana saettano con le loro navi da una costa all' altra del Mediterraneo. In quegli anni terribili  nel Medioriente succede di tutto: nel 1183 cade Troia, si frantumano uno dopo l' altro l' impero miceneo, quello ittita, traballa forte persino quello egizio... E loro, predoni di mare, mordono e fuggono. E pensare che per anni i bronzetti nuragici sono sembrati solo gadget di un vecchio film andato distrutto. Sparito il copione, rimangono solo i set della vicenda: quegli 8000 poderosi nuraghi tirati su con pietre anche di sette tonnellate, rimasti in giro nell’isola. Altre migliaia devono essere sotto terra, o inglobati nelle fondamenta di chiese e città. Centinaia sono sul mare o vista mare o, ormai, dentro il mare. E loro, i bronzetti, sempre lì, muti, a farsi trovare anche in Etruria, a 180 chilometri di mare più in là e nei luoghi santi dell' antica Italia, per sentirsi poi fantasticare addosso la loro storia di popolo isolato, senza scrittura, senza navi. Non sono mai bastati i segnali che cercavano di lanciare: quei gonnellini orientali, le barbette mesopotamiche, i decori assiri delle armature... E neppure sono servite le rappresentazioni di navi che s' erano portati a decine nelle tombe per far capire ai posteri che li avrebbero trovati 3500 anni più tardi, che navigare, per loro, era cosa importante, importantissima. Del tutto inutile persino il fatto che scavando nuraghi saltasse fuori roba che veniva da tutto il Mediterraneo e che, in tutto il Mediterraneo, si trovi non solo ossidiana sarda ma anche bronzetti e ceramiche. E persino - proprio nei posti dove gli Shardana nel vicino Oriente avevano creato le loro basi militari - architetture tecnicamente simili a quelle nuragiche, come quell' edificio scoperto a El-Awat, vicino ad Haifa, da un équipe sardo-israeliana. Niente da fare! Il primo comandamento dell' archeologia sarda era ed è rimasto “ I sardi avevano paura del mare! “ E chi sostiene che i Sardi erano guerrieri, mercanti e navigatori è un eretico o, se gli va bene, un visionario. Per i baroni dell’archeologia la Sardegna continua ad essere  l' isola dell' oblio totale: popoli di mare, arrivati qui per secoli e secoli via mare, che d' improvviso - senza ancora gli eserciti punici o romani a far paura sulle coste - perdono la capacità di navigare. Niente di più stupidamente falso: allora il mare univa, non divideva. Il Mediterraneo era una grande autostrada  e la Sardegna era il terminal più importante.

sabato 23 maggio 2015

ATLANTIDE NON E’ LA SOLA CITTA’ SCOMPARSA IN SARDEGNA




Conoscete la misteriosa città di Metalla? Il nome è attestato nell’Itinerarium Antonini, ma la sua ubicazione rimane un mistero irrisolto. Sappiamo solo che la statio di Metalla si trovava nella strada da Tibulas a Sulki, a 30 miglia a sud di Neapolis: le fonti antiche riferiscono che era un centro minerario, governato da un procurator metallorum, dotato di un edificio termale con pavimenti mosaicati e un orologio pubblico. Da allora Metalla è scomparsa nel nulla e l’individuazione della sua ubicazione da cinque secoli appassiona gli studiosi di cose sarde. 
Il ritrovamento presso le dune sabbiose fra Santu Nicolau e Portixeddu di 17 scheletri umani, uno dei quali con anelli di ferro alle caviglie, ritenuti appartenenti a schiavi damnati ad metalla, avvalora l’ipotesi che Metalla si trovasse sulla costa. 
Col tempo, le dune di sabbia più imponenti dell’isola e di tutto il continente europeo potrebbero aver coperto, facendola sparire, l’antica città mineraria. 
Con un pizzico di speranza fantastichiamo che Metalla possa vedere nuovamente la luce riemergendo da sotto la sabbia, per raccontarci le vicende degli uomini che la popolarono. ( Da L’ISOLA DALLE VENE D’ARGENTO D ANGELO MASCIA)


LA SCRITTURA DEI NURAGICI

Per decenni la Sardegna nuragica è stata dipinta come una civiltà agro-pastorale, facile preda dei dominatori di turno, ma finalmente anche certi vecchi tromboni dell’establishment accademico e archeologico riconoscono che i Sardi nuragici  erano anche  navigatori, guerrieri e mercanti. Quando nei territori dell’attuale Lombardia gli uomini vivevano ancora di caccia e di raccolta e abitavano nelle palafitte, mille anni prima che le imbarcazioni dei Greci solcassero il Mediterraneo, la Sardegna contava già migliaia di nuraghi. Perché questi enormi edifici fortificati spuntavano come funghi su coste, pianure, montagne e vie di comunicazione? A determinare la nascita della Civiltà nuragica fu la ricchezzaproveniente dalla commercializzazione dei metalli. Le navicelle di bronzo, che riproducevano le vere imbarcazioni sarde, testimoniano forti legami con la Civiltà micenea, la Spagna, l’Italia, Cipro e il Vicino Oriente.   

Lo sviluppo economico della Sardegna era il più importante di tutto l’Occidente mediterraneo di allora. Ceramiche askoidi, anfore, tripodi e spade di tipo nuragico sono state trovate oltre lo Stretto di Gibilterra, a Huelva, Tarragona, Malaga, Teruel e Cadice. Grazie alle relazioni commerciali con altri popoli, i Nuragici avevano a disposizione un ampio ventaglio di merci e prodotti e nello stesso tempo arricchivano il loro patrimonio culturale. L’abbondanza di cibo e il benessere erano testimoniati dalle ceramiche, dagli oggetti di uso quotidiano e dai gioielli di pregevole fattura. In tutti i territori dell’isola vi era grande disponibilità dei prodotti di base per l’abbigliamento e, oltre alla lana di capre e pecore, si utilizzavano lino, pelle, cuoio, cui si aggiungevano i tessuti più pregiati quali il bisso e la porpora. Non c’è da stupirsi se nel clima di apertura culturale del IX secolo a.C. in Sardegna maturassero le condizioni per la nascita della scrittura. Nell’isola sono state trovate iscrizioni in alfabeto geroglifico egizio e in minoico e numerose in fenicio, in etrusco, in greco. In totale sono 55 i segni di scrittura alfabetica ritrovati in 32 manufatti (vasi, pesi da bilancia e lingotti) risalenti ai secoli IX-V) a.C. La stele di Nora in pietra arenaria è la prima e più antica forma di scrittura della Sardegna. Scritta in lettere fenicie si legge da destra verso sinistra. La datazione dell’iscrizione risale periodo compreso tra il 750 e l’800 a.C., quando Roma non era ancora stata fondata. 




venerdì 22 maggio 2015

LA NASCITA DELLA SARDEGNA


 Dopo la gran fatica della creazione, alla fine del sesto giorno Dio guardò il mare a ovest del Tirreno e, avendolo trovato troppo solitario, prese un po’ di terra frammista a dei massi di granito e la gettò in quell’acqua cristallina. Premette il piede calzato sui ruvidi sassi e, sollevatolo, vide che la terra aveva assunto il segno del suo sandalo. Si compiacque della forma dell’isola, sorrise e disse: “La chiamerò Ichnusa”.
Sentendosi però quasi in colpa per averla fatta da un avanzo, pensò di abbellirla. Fece così nascere colline e montagne, bastioni di granito e di basalto, pietre dalle forme più strane, pianure dolci e ondulate. Al suo cenno, lungo i fianchi delle
alture e a valle crebbero boschi di lecci e sughere, mirti profumati e corbezzoli splendenti, castagni e ginepri.
                                                                (Antica leggenda sarda)

Per raccontare la storia geologica della Sardegna occorre partire dall’alba dei tempi. È una storia intricata, fatta di orogenesi,eruzioni vulcaniche, mutamenti climatici, movimenti tettonici e sedimentazioni oceaniche, che comincia quando l’Italia, l’Europa e i restanti continenti, come siamo abituati a conoscerli,ancora non esistevano. Le tracce di questa storia sono scolpite nelle rocce che, da Capo Orso alle Falesie di Su Tingiosu, dalle Gole di Gorruppu alla Giara di Gesturi, ci regalano i paesaggi mozzafiato di cui tutti, Sardos e istranzos, siamo innamorati.
(da Angelo Mascia, L'isola dalle vene d'argento)

giovedì 23 aprile 2015

Il nuovo libro di  Angelo Mascia, L'isola dalle vene d'argento, è una storia della Sardegna innovativa e coraggiosa. Prima che i Greci solcassero il Mediterraneo con le loro imbarcazioni e 500 anni prima che i Fenici sbarcassero in Sardegna con le loro mercanzie, l'isola contava 7.000 nuraghi. A determinare la nascita della Civiltà nuragica fu la ricchezza proveniente dalla commercializzazione dell'argento, del rame e del bronzo. Lo sfruttamento dei metalli diventa il filo conduttore per narrare le vicende storiche della nostra terra portando il lettore nel cuore della terra, nelle fucine degli antichi artigiani metallurgici, nei laboratori degli alchimisti arabi che trasformavano le pietre in oro. La storiografia tradizionale, che faceva dei Sardi un popolo eternamene isolato e dominato, viene superata in maniera originale attraverso le prove storiche che l'autore chiarisce punto per punto. I Sardi erano guerrieri, navigatori e mercanti e nei secoli hanno intrecciato rapporti con popoli vicini e lontani. La Sardegna ha vissuto epoche felici e in altre ha sofferto soprusi e angherie, mantenendo sempre intatto il senso di appartenenza, la lingua, gli usi, i miti. In questa terra, dove la leggenda è una cosa sola con la storia, una cavità del suolo può essere la dimora di una jana, oppure una miniera brulicante di uomini, di donne e di bambini. Attraverso uno stile discorsivo il lettore è coinvolto attivamente nella narrazione e diventa partecipe di un percorso suggestivo e affascinante che suscita vari spunti di riflessione per i Sardi e per i tantissimi istranzos affascinati da Argyròphlepsnesos, L'isola dalle vene d'argento, come la definì Platone.

giovedì 19 marzo 2015

LA VERA STORIA DELLA SPEDIZIONE DEI MILLE

                                                            
Soltanto i libri di testo delle nostre scuole raccontano, come in un film d’avventura, l’epopea di mille uomini armati alla leggera che, senza artiglieria, senza mezzi di trasporto, con un solo sacco sulle spalle e un moschetto a tracolla, conquistarono un regno di circa dieci milioni di abitanti, difeso da un esercito composto da 120 mila soldati. E’ ovvio che si tratta di una ricostruzione fantasiosa e che senza l’aiuto degli Inglesi i garibaldini non sarebbero neppure sbarcati in Sicilia. Quando Garibaldi arrivò a Marsala il lavoro era già fatto, gli accordi siglati, le mafie all'opera, l'esercito corrotto, i baroni pronti al tradimento, le ricompense pattuite, i futuri ruoli assegnati. Non vi era niente di nuovo sotto il sole, si trattava degli stessi metodi che si usano oggi in molte aree del mondo. La presenza inglese in Sicilia era dovuta principalmente al controllo della produzione dello zolfo, di cui l’isola era ricca, poiché  produceva i quattro quinti della produzione mondiale. Lo zolfo era l’ingrediente fondamentale per la produzione della polvere da sparo,  era indispensabile per produrre la soda e l’acido solforico ed aveva all’epoca la stessa importanza che hanno oggi l’uranio e i petrolio. Prima del 1836 la produzione siciliana dello zolfo  era gestita prevalentemente da cittadini inglesi. Ritenendo svantaggiose le condizioni economiche della concessione assegnata agli inglesi Ferdinando II affidò  lo sfruttamento delle zolfare ad una ditta francese, la Taix & Aycard di Marsiglia, la quale si impegnò a versare 400.000 ducati annui al governo borbonico. Il ministro Palmerston fece recapitare a Ferdinando II una nota minacciosa, che mandò quest'ultimo su tutte le furie. Dopo lunghe schermaglie diplomatiche, nel 1840 la Gran Bretagna inviò una flotta navale nel golfo di Napoli con l'ordine di bloccare le navi battenti bandiera delle Due Sicilie. Ferdinando II rispose ordinando l'embargo contro tutte le navi mercantili britanniche presenti nei porti del regno o lungo le sue coste. (…) Il governo inglese svolse un ruolo fondamentale nella spedizione dei Mille. Prima che i garibaldini giungessero in Sicilia, il contrammiraglio George Rodney Mundy, vicecomandante della Mediterranean Fleet della Royal Navy, ricevette l’ordine di incrociare nel Tirreno e nel canale di Sicilia, effettuando frequenti scali nei porti siciliani, oltre che a scopo intimidatorio, per attenuare la capacità di reazione borbonica. Il luogo dello sbarco non fu casuale: a  Marsala c’era una vastissima comunità inglese coinvolta in grandi affari, tra i quali il più importante era legato alla viticoltura. Alla vigilia dello sbarco l’ammiragliato inglese ordinò che i piroscafi bellici Argus e Intrepid, facessero rotta su Marsala, ufficialmente per proteggere i sudditi inglesi, ma in realtà con lo scopo di favorire l’entrata in rada delle navi piemontesi. I piroscafi Piemonte e Lombardo arrivarono nel porto di Marsala alle 14 in punto, in pieno giorno, e questo dimostra quanta sicurezza avesse Garibaldi, che altrimenti sarebbe sbarcato di notte. L’approdo avvenne  proprio di fronte al Consolato inglese e alle fabbriche inglesi di vini Ingham e Whoodhouse, con le spalle coperte dai piroscafi britannici che, con l’alibi della protezione delle fabbriche, ostacolavano i colpi di granate dell’incrociatore borbonico Stromboli, giunto sul posto insieme al piroscafo Capri e la fregata a vela Partenope. Difesi dagli Inglesi, Garibaldi e i suoi Mille sbarcano sul molo nell’indifferenza dei marsalesi. Il 13 maggio Garibaldi occupò Salemi, stavolta nell’entusiasmo, perché il barone Sant’Anna, uomo potente del posto, si unì a lui con una banda di picciotti. A Salemi Garibaldi si proclamò Dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele re d'Italia. Il 15 Maggio si combatté la storica battaglia di Calatafimi, se  il 15 maggio 1860 Garibaldi avesse perso, l' epopea dei Mille sarebbe finita lì, a due passi dalle rovine di Segesta. Le soverchianti truppe borboniche guidate dal generale Landi stavano per avere la meglio sulle camicie rosse, stremate e senza più cartucce, mentre il generale Nino Bixio proponeva una ritirata Garibaldi pronunciò la celebre frase: "Qui o si fa l'Italia o si muore". A quel punto accadde l' incredibile: i soldati del re borbone abbandonarono le loro postazioni e si diressero verso Palermo. L’Italia si fece ma la domanda rimane: perché un esercito ben addestrato se la svignò a gambe levate davanti a dei giovanotti stanchi morti e male armati?
Dopo Calatafimi, Garibaldi, s’inoltrò nel cuore della Sicilia mentre le navi inglesi, sempre più numerose, ne controllavano le coste, seguendo in parallelo per mare l’avanzata delle camicie rosse su terra. Garibaldi entrò a Palermo rafforzato da uomini e armi modernissime, quali le carabine-revolver americane Colt e il fucile rigato inglese Enfield. Quando l’eroe dei due mondi passò sul territorio peninsulare, le navi inglesi continuarono a scortarlo dal mare fino al suo ingresso a Napoli. Il 26 ottobre 1860 si concluse  la grande avventura delle camicie rosse. La storia risorgimentale dà molta enfasi all’incontro di Teano, fra tante discordanze e fantasie, tutti sono concordi nel fatto che nella mattinata del 26 ottobre, fra Caianello e Teano, Garibaldi consegnò l'Italia Meridionale a Vittorio Emanuele, ricevendone in cambio solo una stretta di mano.
Nella storia che portò all’annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte non ci  fu nulla di eroico. L’Unità fu fatta per un progetto espansionistico dei Savoia, della nobiltà e dell’alta borghesia piemontese, sostenuto dall’Inghilterra e dalla Francia.  Si trattò di avvenimenti ben compendiati dal famoso motto di Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: “Che tutto cambi perché niente cambi”. Dalla spedizione dei Mille alle plebi meridionali rimase la leva militare obbligatoria, la spogliazione delle risorse, le rivolte contro l’occupazione piemontese, e i moti anti-sabaudi, come quello di Palermo del 1866, repressi nel sangue dai prefetti e dall’esercito piemontesi. Un capitolo di storia che i Sardi avevano giù vissuto. (Angelo Mascia, LA STORIA DELL'ISOLA DALLE VENE D'AGENTO)